‘Nella sezione “Genitori e figli” si trova anche il racconto del maltese Adrian Grima, Stazione di polizia, tradotto da Nicosia: l’efficace ritratto di una società patriarcale che ancora stenta a superare gli strascichi di modelli tossici di mascolinità.’
irene chias, La repubblica
Lo scrittore di origini gelesi oggi insegna Lingua e letteratura araba all’Università degli Studi di Bari: con questa raccolta tira le fila della sua identità mediterranea
Nato a Gela da genitori di origini serradifalchesi, interprete a Trapani per 12 anni e poi insegnante per circa otto all’Università di Catania, sede di Ragusa Ibla, Aldo Nicosia si definisce, non a torto, pansiciliano. Oggi insegna Lingua e letteratura araba all’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e tira le fila della sua identità mediterranea e dei suoi studi curando il volume “Kòshari. Racconti arabi e maltesi”. A diciassette storie da Marocco, Tunisia, Egitto, Sudan, Siria, Emirati, Palestina, Giordania, Kuwait, ne accosta quattro maltesi, tutti tradotti dallo stesso Nicosia e da suoi studenti. Il filo conduttore sono “le complesse e contrastate relazioni tra generazioni a cavallo del nuovo millennio”. Il libro si divide infatti in due sezioni: Genitori e figli e Nonni e nipoti.
Il racconto che dà il titolo all’antologia è quello dell’egiziano Hasan Kamal, tradotto da Jacopo Fratusco: la struggente narrazione di un papà affettuoso, devoto e povero che viaggia con la sua bambina. Il termine Kòshari indica un piatto della cucina popolare egiziana a base di lenticchie, riso, pasta, ceci e tanti ulteriori ingredienti. In senso figurato il vocabolo può quindi fare riferimento a una miscellanea di elementi di varia origine, come appunto i racconti raccolti nel volume.
Tra gli altri venti racconti, spicca “La bambina del traghetto”, dell’irachena Yasamin Sabah Hannuš, tradotto da Noemi Leone. Ambientato nel periodo post liberazione dell’Iraq settentrionale da Daesh, la storia narra dell’affondamento di una bambina e della mamma durante la traversata del Tigri nei pressi di Mossul e si ispira a un reale tragico avvenimento del marzo 2019. La progressiva degenerazione del rapporto madre-figlio – dovuta alla radicalizzazione religiosa di quest’ultimo dopo la sollevazione tunisina del 2011 – è protagonista di “La rivolta di Bahìja”, di Šukri al-Mabhut, tradotto da Ikram Rachid.
Nella sezione “Genitori e figli” si trova anche il racconto del maltese Adrian Grima, Stazione di polizia, tradotto da Nicosia: l’efficace ritratto di una società patriarcale che ancora stenta a superare gli strascichi di modelli tossici di mascolinità.
Nella sezione “Nonni e nipoti” troviamo il racconto di Maryam al-Sa’idi, di Abu Dhabi: “Un vestito rosa al funerale di mia nonna”, tradotto da Annamaria Festa. Con lo studio di Sartre, nella testa di Maryam si è installato un nichilismo che l’ha progressivamente allontanata dalle feste di famiglia, dalla nonna, dalla vita. Solo quando – dopo il decesso dell’anziana su un letto d’ospedale – la vede ridere mentre le dice “La vita è ancora bella, Maryam, anche dopo la morte”, la narratrice capisce che anche per lei è arrivato il momento della gioia e della celebrazione, e va a vestirti e truccarsi come la nonna l’aveva sempre invitata a fare e come lei aveva sempre rifiutato.
Il rapporto di una donna anziana con la nipote è al centro anche di “Nonna, cara nonna”, della palestinese Rima Ibrahim Hammud, oggi residente in Kuwait, e tradotto da Domenico Aceto. Una relazione conflittuale, costellata da incomprensioni che toccano il loro apice quando la giovane apprende che la nonna ha lasciato morire due figlie ancora bambine non potandole dal medico. “Erano femmine, e il dottore era a Nablus. Non sarei di certo andata in città per una femmina ammalata”. In punto di morte però la nonna invocherà il perdono di qualcuno verso cui, nonostante la scarsa considerazione mostrata in aderenza ai dettami sociali, proverà comunque amore e rimpianto.
Ancora una nonna poco benevola nei confronti delle femmine è al centro di “Il ritorno di mia nonna”, della marocchina Latifa Labsir, tradotto da Mariana Vieli, in cui la protagonista è perseguitata dall’immagine della nonna già morta. Una nonna decisamente anticonvenzionale e piena di vita è invece quella che il protagonista di “La vita segreta di Nonna Genoveffa”, del maltese Trevor Zahra, scopre attraverso un manoscritto della donna ormai morta.
“Da siciliano, vedo riflessa la nostra dimensione familiare più nel mondo arabo che in quello nordeuropeo, nonostante la prevalenza religiosa dell’Islam” dice Nicosia. “Per questo, quando poi la fede diventa cattolica, come nei racconti maltesi, sembra davvero una narrazione siciliana”.