La coda della freccia

Prefazione di Costanza Ferrini

Un’attesa lunga precede questa raccolta di poesie di Adrian Grima. Ma non si è caduti per questo nella tentazione del distillato. La modalità di Adrian Grima di leggere la con- temporaneità e il suo esserci insito è quella di misurarla, di passarla e i suoi versi sono ciò che rimane nel setaccio.

Le poesie che compongono questo volume potrebbero sembrare scaturite da un luogo aperto… come sparpagliate dal vento. In realtà è un andirivieni, quello di Adrian che crea una tessitura di rotte costruita dagli occhi, dalle voci e dai silenzi di chi a Malta approda o conta le assenze di chi non v’è mai arrivato, o ancora di Malta guardata da Algeri o dalla Palestina.

La sua poesia, attraverso un mutamento dello sguardo, un’alzata di ciglio, la trazione impercettibile d’un muscolo o il movimento d’una mano, registra, con la sensibilità d’un sismografo, tutto un corpo, traduce le storie terribili di soffe- renza incise sulla pelle di chi lo ha indossato.

Adrian Grima legge il corpo degli altri e il proprio come paesaggio e legge il paesaggio come ciò che di tangibile ri- mane del corpo di chi se n’è andato. Il paesaggio senza corpo non c’è. E’ dalla compenetrazione stessa di paesaggio e corpo che scaturisce il motore della poesia.

Per Adrian Grima la funzione della poesia è pratica, essa è un utensile sempre a portata di mano, una matita ben tem- perata, una t-shirt, un arco sempre pronto a scoccare, uno stato del corpo, un modo di vivere.

Tale praticità dell’essere, tale corporalità del farsi, dei versi stessi ha la naturalità del gesto comune di chi allena tutti i giorni i suoi sensi nel Mediterraneo, di chi sa d’essere composto della stessa materia di quel mare.


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